giovedì 2 ottobre 2008

Re Capriccio terza e ultima parte. Di Stefano Benni.

Nella foto: Dato che il mio scrittore preferito Stefano Benni si fa chiamare il lupo, questa immagine mi sembra azzeccata, da http://gadgets.net78.net/

Re Capriccio, terza e ultima parte. Di stefano Benni.

Del Pietro era in accappatoio, coi capelli ritti come un'Erinni per l'ira e per il phon di Julien. Sul letto c'era una specie di grosso cane bagnato; era Caprone che con la mano si comprimeva un occhio pesto. Lampade rotte, portacenere, ananas e dischi d'oro erano sparsi tutt'intorno. Ma lo sfogo del Maestro aveva già superato il minuto, e quelli erano gli ultimi tuoni che si allontanavano.
- E' un insulto alla mia grandezza! Nessuno può farmi una richiesta simile, neanche il presidente. E' già un supplizio per me dividere il palcoscenico con bassi ruttanti, baritoni sfiatati e soprani gnaulanti. Mai e poi mai! - ribadi', mentre Julien gli intiepidiva dolcemente la nuca.
- Ma basterebbe... una piccola apparizione, ecco. Il presidente ha una discreta voce da baritono: potrebbe che so, fare la parte dell'indovino.
- Neanche per sogno. E' troppo lunga.
- Allora il dottore, ecco, ha solo tre battute, quando ti dà la notizia della malattia di Berenice "Chiaro veggio il pallor" e tu rispondi "O uom funesto" ...
- Mai! E' un momento drammatico fondamentale.
- E' disposto anche a vestirsi da prete, nel secondo atto, e cantare "Sacrilogo fu il detto" .
- Sacrilego, ecco il termine adatto, ciò che mi chiedi è sacrilego!
- E va bene - si spazienti' Caprone - allora te lo dico chiaro e tondo: il ministro dello spettacolo ha minacciato che, se rifiuti, non canterai più nel nostro paese. Non troverai più una scrittura.
I giornali scriveranno che stecchi un giorno si' e l'altro no.
- C'è sempre l'estero.
- Il presidente ha le mani lunghe. Fa affari in tutto il mondo, può arrivare dappertutto...
- Non mi piego. Sono il più grande cantante del mondo. Come puoi pensare che io rinunci a questa fama?
- Farà cantare Ambrassas all'inaugurazione del campionato di calcio.
- Faccia pure. Un pallone gonfiato tra i palloni (risata tenorile).
Caprone crollò in ginocchio, piagnucolando.
- Fallo per me Manrico, ho tre figli, tre mogli...
- Può stare tra le quinte, se proprio vuole... - disse il Maestro guardandolo con indifferenza.
- No! Vuole salire sul palcoscenico.
- Il mio motto è: posso imporre qualsiasi cosa a chiunque, nessuno può imporre qualsiasi cosa a me. Lo dico, lo confermo e lo ribadisco.
- Allora preparati al peggio: Anatoli Ambrassas è atterrato all'aeroporto un'ora fa. Temo che stasera il presidente per ripicca...
- Questo no! Al mio posto no, questo non lo posso permettere!
Camminò in lungo e largo per la stanza come una belva, seguito dal phon di Julien. Poi disse:
- Comunica al presidente che può entrare in scena con me: ma non dovrà cantare. Una comparsata è tutto quello che posso concedergli.
Caprone scattò in piedi, corse al telefono. La sua voce divenne caramellata e furono contati duecentosedici "ha ragione", mentre trattava col presidente. Alla fine comunicò raggiante:
- Ha accettato!
- Va bene, ma cosa farà in scena? Un soldato? Un cavaliere del ballo? Uno dei monaci?
- Deve ancora decidere - disse Caprone a bassa voce.
Fedora gli si accostò con fare da congiurato.
- E' stato un bluff quello di Ambrassas, vero?
- Zitto - disse Caprone strizzandosi la pelliccia - quando il gioco è cosi' grosso, ogni colpo è consentito.

Fu cosi' che alla prima della Berenice serpeggiava tra lo scelto pubblico la voce che ci sarebbe stata "una sorpresa". Il presidente era nel palco reale, con la consueta aria da fotomontaggio, e la first lady esibiva l'usuale arcimboldo di riccioli. Le belle dame cicalavano sull'orrenda pettinatura della moglie del sindaco, i magnati del regime deducevano, dai palchi assegnati, chi contava ancora e chi non contava più. Il competente loggione lanciava sputi e pistacchi alla pecoronissima platea che faceva finta di nulla, giovani attivisti lanciavano manifestini contro l'effeminatezza del melodramma e a favore dell'invasione dell'Engadina. Finchè il maestro Blumenthal entrò solennemente, si beccò un "vaffanculo ebreo" peraltro isolato e diede inizio a Berenice.
Fin dalla prima scena , la "scena del congedo", Del Pietro appariva molto nervoso. Avanzò tra il coro dei commilitoni che intonavano "O ben più dure le battaglie del cor", sbirciando sotto i chepi', col timore di veder apparire il volto del presidente. Ma il presidente era lassù nel palco, e Del Pietro cantò "Addio ai bivacchi" con la consueta maestria. Il primo atto fu un trionfo, anche il secondo, malgrado una furbatina della Berenice-Lodoletti che cercò di piazzarsi davanti nel duetto d'amore, mossa a cui il Maestro rispose con una sgarrettata che lasciò la poverina senza fiato a metà dell'acuto finale.
Tra il secondo e il terzo atto il Grande Tenore fece il solito capriccio. Volle un ghiacciolo al genepi', per trovare il quale si mobilitarono gli alpini, poichè Caprone aveva dato ordine di accontentarlo anche se chiedeva sangue umano.
E si arrivò cosi' all'ultimo atto. La povera Berenice giace nel suo letto. Ha atteso tre giorni e tre notti in strada sotto la neve che Edgardo, ovvero Del Pietro, le riaprisse la porta. Dopodichè ha contratto regolare polmonite. Edgardo l'ha cacciata e ripudiata perchè crede di averla vista uccidere in duello suo fratello Ermanno, ma ignora che l'assassino è invece il fratello gemello di Berenice, il tenente Berengario che si è vestito da donna per uscire dalla caserma e potersi battere. A metà dell'atto tutto si chiarisce nel famoso "quartetto degli equivoci" e cosi' si va verso lo straziante finale, il duetto d'amore e morte. Edgardo entra nella camera da letto di Berenice per chiederle perdono. La vede pallida ed esangue e gli manca il fiato per il rimorso e perchè ha notato che, nel palco reale il presidente non c'è più.
Cosi' intona "Un peccator t'implora". La voce è ferma, il Maestro no. Inizia a percorrere in lungo e in largo il palcoscenico. Spia il volto del medico, guarda sotto le velette delle donne in gramaglie, esamina uno per uno i parenti, corre a controllare un maggiordomo sullo sfondo. Pubblico e critica si dividono. Alcuni rimpiangono l'abituale statuaria gestualità del tenore. Altri invece approvano questa geniale invenzione recitativa: il dolore rende Edgardo folle, egli non trova pace, si aggira febbrile, guarda addirittura sotto il letto, ecco che tutti se ne vanno, ed egli rimane solo con Berenice: sul suo volto, un'espressione di dolorosa tensione (dov'è? che abbia rinunciato?). Siamo all'epilogo: Edgardo prende tra le braccia Berenice ormai morente, la porta verso il pubblico e canta l'indimenticabile "Ella fu già si pura".
E ciò che videro gli spettatori fu, in effetti, indimenticabile.
Il Grande Tenore che si avvicina al letto, solleva tra le braccia Berenice e in quel momento vede sorridergli, sotto un parruccone biondo, il presidente, oscenamente truccato. E mentre è tra le braccia di Del Pietro, il presidente saluta il pubblico che lo ha riconosciuto e applaude entusiasta, e mima la morte di Berenice con tali istrioniche convulsioni da far dimenticare la voce del Grande Tenore: quando cala il sipario, il pubblico esplode in un'ovazione.
E grida un nome ma non è quello di Del Pietro.
Il sipario si riapre ed eccoli mano nella mano, il presidente piange commosso, lancia baci, viene sommerso dai fiori, mentre al suo fianco, scuro in volto, curvo, sta il Grande Tenore il cui trucco si scioglie in una maschera tragica. Egli si inchina ma il pubblico lo ignora, continua a lanciare fiori alla sua Berenice. Sette volte tornano alla ribalta insieme, sette volte il tenore viene umiliato, all'ottava chiamata il presidente si presenta da solo e il teatro crolla per gli applausi.
Nel suo camerino, Manrico Del Pietro estrae lo spadino da militare del primo atto e se lo conficca nella pancia.
Lo spadino è di gomma.

Pillola del giorno speciale: Un articolo di Stefano Benni.
Silvio è grande solo nell’ipocrisia. Ricordate cosa aveva promesso per l’Alitalia? Una grande cordata patriottica, una geniale soluzione che non aveva bisogno né di Air France né di Lufthansa.
Ha dimenticato queste promesse e, con una bella dose di vigliaccheria, ha scaricato tutta la responsabilità della crisi sui piloti e sui bolscevichi della Cgil.
Ma non sta soffrendo molto: perché se l’Alitalia si fermasse, lui volerebbe lo stesso. Fate anche voi come lui, cercate delle soluzioni, invece di lamentarvi. Compratevi degli aerei privati, come tutti. Vi diamo alcuni consigli per l’avio-shopping.
Io credo che nel vostro hangar (non ditemi che non ne avete uno!) non possa mancare un «Gulfstream V», la Rolls Royce dei cieli. Silvio ne ha un paio, ne pagò uno 20 miliardi nel 1986, poi qualcuno gli ha graffiato la fusoliera e ne ha acquistato uno nuovo nel 2001 per 37 milioni di euro. Ma è una aereo piccolo, poco capiente, potrebbe darvi dei problemi in caso di gita numerosa. Quindi non potete privarvi di un Airbus A319-115/CJ, costa solo 30 milioni, compresa autoradio e arbre magique. Ha il difetto che consuma molto, quindi per i vostri week-end, compratevi almeno due Hawker 800 XP da 8 posti, magari di colori diversi. Ahimè, voi direte, ma spesso i tragitti da-e-per l’aeroporto sono lunghi e noiosi. Capisco che abbiate, come Silvio, l’assoluta esigenza di un elicottero. Atterra dappertutto è maneggevole e chic. Il premier ha un Aw Agusta Westland, 139, costa la miseria di 8 milioni di euro.
E se avete paura di volare? beh, compratevi lo yacht di Silvio, costa 13 miliardi di euro e lungo 48 metri (ma lui dice 58, rubare su altezze e lunghezze è più forte di lui). Non accontentatevi del “Besame” di Marina Berlusconi, solo 27 metri o del “Suegno” di Piersilvio, poco più di un gommone. Ma il rischio è che viaggiando sempre in aereo o yacht, la vostra salute ne risenta. Niente paura, fasta una bicicletta in fibra di carbonio da 80.000 euro. Silvio la usa in Sardegna, per andare in bagno.
Insomma, la chiusura dell’Alitalia è un problema solo per chi non si sa arrangiare. C’è solo un problema: tutta questa flotta vi costerà una decina di milioni al mese di carburante. Fate questo sacrificio e ricordate che la colpa del prezzo della benzina è della Cgil irachena.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Geniale questo "Capriccio"... e geniali anche i consigli anticrisi...
Per i disoccupati, poi, c'è la possibilità di sposare Piersilvio (quasta l'ha detta LUI in persona...)

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